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Notizie del 12/2/2022
Rosy Bindi Vittorio Bacheletposted: 12/2/2022 at 11:55:21
Il 12 febbraio 2022 Rosy compie 71 anni di vita; Vittorio 22 anni di morte.
Vittorio viene ucciso dalle Brigate Rosse lo stesso giorno in cui Rosy accoglie il 29° compleanno.
La luce comincia a filtrare in una Roma in cui ombre avanzano senza domani. Il sole sempre più ritto spacca le strade senza orizzonte. Neanche i palazzoni, trafitti a perpendicolo nel cranio, tracciano le loro sagome. Vittorio insegna diritto pubblico dell'economia all'università "La Sapienza". Passo dopo passo, scalino dopo scalino, avanza lento nello squallore e ode una musica che non arriva.
Ha appena terminato una lezione, dialoga con Rosy, la sua assistente precaria, seguito da un gruppo di studentesse e studenti. È quasi mezzogiorno quando arriva al mezzanino, in quell'angolo, accanto alla grande porta vetrata. Nolente incarna sette proiettili calibro 32 Winchester. L’ultimo è alla nuca, per finire l’infinito.
Il remoto fabbricato è pseudopitturato con tanta vernice violenta e qualche sprazzo d’amore, in un quartiere affamato di valori maturandi, di sentimenti pionieri in un abisso azzurro inquinato dalle persone più che dallo smog, in un cielo abbagliante ma disinteressato.
“Penso sia una studentessa…” dice Rosy.
“No, è la boia!” sentenzia Vittorio col volto terrorizzato.
“Sono sconvolta, annichilita…”.
E intanto Vittorio barcolla, sbatte la testa contro la parete, cade in un urlo belluino di umanità fanciulla, di fratellanza e carità…
Il puzzo di spari su quel corpo innocente profuma di gelsomini smaglianti.
“Per primo arriva Pertini e passa impietrito al centro di quella marea di giovani che, ad un tratto, lo applaudono con furia, commossi, quasi disperati…” scrive Giampaolo Pansa su Repubblica del 13 febbraio 1980.
A 40 anni dal martirio, Rosy abbozza un ricordo: “Forse non corrisponde pienamente alla verità… Il dolore, la paura, la rabbia vissuti in quel momento possono aver condizionato e in parte alterato la mia percezione della realtà… Ho il dovere di trasmettere alle giovani generazioni la consapevolezza che quegli anni vanno conosciuti e studiati, vanno compresi nel loro significato storico e nella loro portata anche politica. Sono un capitolo cruciale per capire quanto sia fragile e preziosa la nostra democrazia, quali pericoli ha attraversato, quali ferite ha subito e rischia ancora di subire e per coltivare la riconoscenza verso coloro che hanno dato la vita per la libertà, la giustizia… le Brigate Rosse sono state anche o soprattutto lo strumento, consapevole o inconsapevole, di un disegno politico, non meno pericoloso delle loro farneticanti teorie sovversive, che puntava a ostacolare il pieno compimento del progetto di democrazia delineato nella nostra Costituzione”.
Le parole chiave di Vittorio sono Concilio e Costituzione, che aprono “una fase nuova”, servizio come gioia, ideali che non tramontano mai, speranza da testimoniare sempre.
Ai funerali il venticinquenne figlio Giovanni prega di pregare, di perdonare chiedendo perdono, di neutralizzare la vendetta, di vivere senza mai invocare la morte.
Mattarella è il 13° presidente… Non ce l’hai fatta, Rosy… Ora puoi lasciarti andare… Come quel giorno di piombo… con Vittorio coperto da un velo bianco… in cui ti raggomitolasti e inondasti d’asciutto le scale con il fiume oculare che attendeva di sfociare per salvarti.
Ciao, presidente Rosy! Non rinunciare! Tienimi per mano!
Nell’albore arancio dei lumi appena accesi, nella rugiada che conduce la vegetazione all’abitato,
il treno della notte è la pace che corre. È raccoglimento e preghiera, riflessione e progetto, velocità che si ferma, fantasia che sistema il disordine, ripara e risolve, conclude e riparte. Il dardo nel buio è prigione da evadere, ansia e relax, voglia di frenare, di respirare. I binari proteggono, ma non ammettono deviazioni. All’alba, mentre ci si stira le ossa, rotte dal metallo ghiacciato, si è più confusi di prima. Ma la notte è passata!
michi del gaudio

Elisa Springer sopravvissuta ad Auschwitzposted: 12/2/2022 at 17:02:44
Il 12 febbraio 2022 compirebbe 104 anni.
La conosco il 20 settembre 2003, quando entrambi riceviamo il Premio Nazionale “Città di Matera” per l’Impegno Civile e Sociale, assieme al giornalista Giovanni Anversa e al presidente della Comunità Sant’Egidio. È una aristocratica signora di 85 anni, taciturna, timida, riservata, amore martoriato ma ancora errante. La prossima fermata di un sentimento tanto potente, da essere ucciso e poi rinascere, è in un’aula ampia come i capannoni dello sterminio, prima silenziosa come i metalli spinati senza fuga, quindi gioiosamente urlante e danzante sulle punte di studentesse e studenti di una scuola basilisca. In un istante Elisa è una di loro. Agita le braccia nella ola. È raggiante nel dolore, nella speranza, nei progetti bambini di una bambina clandestina e segregata che sogna ancora di volare. Ha ancora un anno per la meta e non vuole sprecarlo.
La nobiltà viennese d’inizio mattinata è evaporata, le parole si rincorrono, la disinvoltura sgorga, la trasparenza abbonda… in una eleganza pudica e frugale.
Il dialogo è storico, sociale, culturale, confidenziale, le emozioni prorompono essenziali ognuna nella sua fase, gli ideali fluiscono a costruire presente e futuro.
In questa atmosfera duttile, multi…, poli…, flessibile ma unitaria, armonica, simmetrica, Giovanni… - l’autore e conduttore televisivo che inonda la Rai di vicende semplici e straordinarie, di persone normalmente diverse, di anziani ragazzi d’energia, di ragazze anziane d’angoscia - Giovanni… chiede ad Elisa: “È vero che hai conosciuto Anna Frank?”.
“L’ho incontrata nel ’45 a Bergen-Belsen. Era una fanciullina di 16 anni. Io a 27 le avrei potuto fare da mamma… e forse l’avrei voluto. Non era facile, ma ci incrociavamo. Adolescenza irriconoscibile in una traccia ossea spolpata. Bellezza senz’ali. Sogni soffocati. Emozioni interrotte in germanico, narcotizzate per svegliarsi in tutte le altre lingue”.
“Avete scambiato idee su stile, forma, contenuto?” si inserisce “Sant’Egidio”, simpatico solidale con il bene nelle mani.
“Anna annotava, componeva già da un po’. Io non l’avrei mai fatto. Sono stata scarcerata il 5 maggio del ’45, ma sono rimasta sepolta lì per cinquant’anni. Il mio primo libro è del 1997. Anche se il mio vissuto è intenso, il matrimonio con Guglielmo, mio figlio Silvio, Manduria, la mia città d’adozione”.
“Perché, Elisa?”.
“Chiamami Lizzi! L’orrore di Auschwitz non può essere narrato a creature umane: è inspiegabile, inconcepibile. Avevo paura di non essere compresa o peggio di non essere creduta. Solo scrivendo, vocabolo dopo vocabolo, azione dopo azione, realtà dopo realtà, tormento dopo tormento, ho percepito, in una liberazione progressiva, che anche un peso incontenibile, travolgente, intrasportabile, irremovibile si sgretola, fino a ridursi a cosciente testimonianza di resurrezione dalla prigionia del passato”.
“Auschwitz è torbido abisso, sterminio di un popolo dove neanche i resti possono essere sepolti a terra, solo fumo attraverso i camini… fino a oscurare il cielo”. È Anna! Allora? Oppure ora!
“È vero, Anna, il mio corpo è sottoposto a ogni genere di stenti e di umiliazioni, ore e ore sotto la pioggia nuda al freddo, o sotto il sole cocente, senza aver mangiato o bevuto, sottoposta allo stress della selezione per le camere a gas… E la cruenta pugnalata della sera, all’arrivo dei nuovi convogli: “Quanti pezzi sono arrivati oggi? Eravamo pezzi, per essere sfruttati fino alla morte ed essere gettati alla fine nelle camere a gas. Questo dicevano i tedeschi quando arrivavano i treni, parlando tra loro”.
“E ora cambiamo discorso. Sai che il mio maggior desiderio è quello di diventare giornalista e poi scrittrice… i soggetti non mi mancano”.
“Hai già dei titoli?”.
“Il Diario di Anna FranK! In realtà è quasi completo”.
“Lo hai con te?”.
“No, Lizzi, lo custodisce mio padre! E tu hai immaginato un titolo?”.
“Ma no, Anna, non c’è neanche una riga!”.
“Dài, Lizzi! Per favore!”.
“Se proprio insisti, riflettendo: Il silenzio dei vivi!”.
“Sei grande, Lizzi…”
“E offrirò alle stampe anche un secondo libro, L'eco del silenzio. La Shoah raccontata ai giovani! Sì, un testo specifico per le ragazze e i ragazzi. Perché sappiano, per sperare che quell'indicibile mostruosità non si ripeta. E allora, se il mio impulso nel cuore di chi intende la pietà fa crescere l’amore, anch'io potrò ammettere che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere riscatto per il sacrificio di tanti innocenti, consolazione verso chi è solo, per realizzare un mondo senza odio. L’odio è come un grande fiume che quando straripa trascina con sé tutto quello che fende.
“La nonna morì nel gennaio 1942: nessuno sa quanto io pensi a lei e quanto ancora le voglia bene. Questa sera, guardando le candele accese, mi sento di nuovo tranquilla e felice. Nella candela io vedo la nonna. Ed è la nonna che mi difende e mi protegge e mi fa ritornare contenta.
“Anche io mi rintano nella nonna”.
“Papà, mamma e Margot non riuscivano ad abituarsi alla campana di Westertor, che rintoccava ogni quarto d'ora. lo invece la trovavo molto gradevole, e soprattutto di notte quel suono era per me un amico fedele.
Ho ideali, idee e piani miei propri, ma non so ancora esprimerli”.
“L’avessimo qui la tua campana!”.
“Spero sempre di scoprire che anche lui vive aspettando me e vado in estasi quando scorgo i suoi piccoli e timidi approcci”.
“Talvolta sono sopraffatta da una tristezza mortale. Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiettare.
C'è un bel sole, il cielo è sereno, spira un vento delizioso, e io ho desiderio... di tutto. Desiderio di chiacchiere, di libertà, di amici, di esser sola. Desiderio... di piangere!”.
michi del gaudio



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