Ragazzi, non cambiate per cambiare il mondo | posted: 7/6/2014 at 17:16:19 |
LeonardoNews
Giornale dell’Istituto Superiore “Leonardo Da Vinci” di Poggiomarino (NA)
Michele Del Gaudio, magistrato, già deputato attualmente scrittore di libri di successo, ci concede un’intervista
Il giudice affida alle nuove generazioni la speranza di una società migliore e felice
Michele Del Gaudio, 61 anni, nato a torre Annunziata dove attualmente risiede, è stato un magistrato protagonista di numerose e clamorose inchieste, tra cui l'arresto e la condanna di tanti politici corrotti. Esattamente 20 anni fa venne eletto deputato al Parlamento. In questo lungo periodo della sua vita, però, la cosa che lo ha gratificato di più è stato l'incontro nelle scuole di tutt’Italia con migliaia di studenti per parlare loro dell'alto valore della legalità. È anche uno scrittore, autore di diversi libri di successo, tra cui Vi racconto la Costituzione. Anche noi studenti delle classi quinte della nostra scuola lo abbiamo incontrato ed intervistato. 1. Quando si è reso conto che questo era veramente il lavoro che voleva fare, come ha fatto o quando ha capito che era la scelta giusta? Man mano che crescevo, sviluppavo un forte senso di giustizia. Ero chiuso, aggressivo, manesco, ma istintivamente parteggiavo per i deboli contro i forti. Poi ho incontrato insegnanti meravigliosi che hanno tirato fuori la parte migliore di me: altruismo, disponibilità, nonviolenza. Devo molto alla Scuola, perciò giro l’Italia per incontrare gli studenti, per restituire il bene che mi ha donato. Cerco di assecondare i ragazzi a scovare la strada dentro se stessi. Ho consolidato sempre più i miei valori, anche attraverso la Costituzione, e sono sfociato quasi naturalmente nella magistratura, che tutela i diritti dei deboli contro le prevaricazioni dei forti. 2.- Ha mai avuto ripensamenti? No, nel senso che il solco era tracciato e ho sempre avuto timore di oppormi. Mio padre, in perfetta buona fede, avendo vissuto la fame, voleva che avessi un lavoro soddisfacente e remunerativo, come il notaio. Io mi sentivo portato verso l'arte, ma la ridussi ad hobby. Il liceo classico fu cupo, ansiogeno: se non avessi avuto gli amici e il pallone, non avrei assaggiato la felicità. Anche l’università fu opprimente: a Pisa, lontano, sotto una pioggia continua, con le zanzare dell’Arno. Ma anche per giurisprudenza avevo l’antidoto: agli amici si aggiunsero le ragazze e l’amore. La felicità era piena. Poi venne il lavoro: il rapporto con la gente, pilastro della democrazia. L’io si trasformò in noi e l’agire “in nome del popolo italiano” mi iniettò una grande carica. Nella vita che era stata programmata per me, finalmente ero a mio agio: quello che avevo studiato, per senso del dovere, diventava piacere nel momento in cui lo applicavo in concreto. Nei miei 27 anni con jeans e camicia, avevo l’autorità di dare ragione ai deboli e torto ai potenti. Non ce l’avevo con loro, volevo solo giustizia: non ho mai dato ragione a un debole che aveva torto o viceversa. 3. C’è un episodio, nella sua carriera di giudice, che ricorda col sorriso? Mi occupavo di controversie fra persone e mi imbattei in due fratelli sui settant’anni: non si parlavano da molto per contrasti ereditari. Dopo un primo colloquio individuale, senza avvocati, capii che al fondo di ognuno c'era del buono. Annullai gli altri impegni e dedicai loro tutta la mattina. Discutemmo a lungo e alla fine raggiunsero un accordo conveniente per entrambi. Notai che discorrevano di nuovo come fratelli. Nel salutarci uno dei due mi sussurrò: “Giudice, lei potrebbe essere nostro figlio, ma oggi ci ha fatto da padre!”. 4. E c’è un episodio che ricorda con rammarico? Nessuno in particolare, piuttosto una sensazione generale di turbamento tutte le volte che arrestavo qualcuno. La mia sensibilità non ha mai sopportato che facessi del male. E invece è accaduto molto spesso nell'esercizio delle mie funzioni. Però ho sempre avuto grande rispetto per ogni imputato. Ne consideravo l'interrogatorio un atto d'amore: in quella circostanza dovevo offrirgli la possibilità di difendersi, di esporre tutti gli elementi che potessero scagionarlo. Certo gli contestavo le contraddizioni, gli alibi fasulli, ma le prove le dovevo cercare altrove. 5. Quanto e come hanno inciso la sua professione e la sua carriera sulla sua vita e sulla sua persona? Parecchio. Hanno tonificato i miei ideali, l’equilibrio anche nel privato, la capacità di chiarirmi le idee, di sistemare i fatti, di riuscire a separare la titolarità di un diritto dal suo esercizio: nel senso che a volte, pur avendo ragione, vi ho rinunciato: per amore, amicizia, solidarietà. Non ho mai indietreggiato, però, davanti al potere, pubblico o privato. Tutt'oggi continuo a lottare, denunciare, mai per vantaggio personale, sempre per interesse generale. Fare il giudice mi ha abituato a non prendere mai una decisione a caldo, ad aspettare sempre che la situazione si raffreddi, anche se a volte è necessario il sì o il no in un decimo di secondo. In negativo invece ho acquisito troppe certezze, ma voi studenti me le avete smontate tutte: in questi ultimi vent'anni mi avete trasmesso che, salvo sui grandi principi… l'onestà, la libertà, la giustizia…, la verità è il dubbio, il dialogo, trovare soluzioni comuni, edificare insieme il presente prima ancora che il futuro. 6. Oggi a distanza di anni, c’è qualcosa della quale si pente e che non rifarebbe se tornasse indietro? È difficile dirlo… Forse non farei il classico… neanche legge… nemmeno il magistrato… Opterei per il liceo artistico, l’accademia o lettere, farei il pittore o lo scrittore, magari l’insegnante… solo per appoggiare i ragazzi a non essere soldatini ubbidienti ma cittadini pensanti. Valorizzerei l’ideare, il creare, il costruire rispetto all’imparare per il sapere e per applicarlo in modo acritico, senza quel granello di diversità e fantasia che consente alla storia, individuale e collettiva, di evolversi invece di restare ferma. Ma, nonostante tutto, complessivamente la mia vita è stata ed è felice. Perché ho cercato di fare bene anche quello che non avevo scelto, sorretto dai sentimenti e dagli ideali, indispensabili compagni di viaggio. 7. Sicuramente, ogni persona che ha ‘giudicato’ ha lasciato qualcosa in lei, facendola maturare sempre di più fino a farla diventare la splendida persona che è oggi. Ad oggi, c’è qualcuno che ricorda in modo particolare? Mi viene in mente un sessantenne accusato di pedofilia nei confronti di un tredicenne. Viveva in una macchina dopo aver fallito tutti i tentativi per affermarsi come pittore. La sua vita, la sua casa era in quell’automobile. Accertai che era il tredicenne ad aver abusato del sessantenne: lo tiranneggiava, lo sfruttava, gli prendeva i soldi. Da tutta una serie di dettagli, in particolare dal diario che fu sequestrato all’anziano, sgorgava il suo amore puro, spropositato, innaturale… il suo sacrificare tutto per il teenager. Ma per legge la violenza sessuale è presunta quando è commessa su chi ha meno di 14 anni, in quanto si dà per scontato che non abbia la maturità per un consenso valido. La condanna fu esemplare, ma mi persuase che, anche dove c'è il male, ci può essere un brandello di sentimento, un tozzo d’ideale. 8. Si faccia una domanda che avrebbe voluto le ponessimo…. Se sono felice. Se siete felici. La felicità è l'obiettivo della vita, della Costituzione, delle leggi, anche se la società fa di tutto per impedirla. Ho avuto periodi lunghi di sconforto, di sofferenza, anche attimi di disperazione, ma mi ha sempre sostenuto la convinzione che alla fase negativa sarebbe seguita quella positiva. Mi chiudevo nel guscio, in difesa, recuperavo le energie, sicuro che ce l’avrei fatta, e poi arrivava l’occasione appropriata per ripartire. Non so se sono stati più i giorni di serenità o quelli di smarrimento, ma i tempi felici sono stati, e sono, talmente intensi e profondi da superare ogni dolore. Addirittura oggi non ho bisogno di felicità diretta, anche se continuo a provarla, perché mi basta vedere mio figlio felice, per essere indirettamente felice della sua felicità. 9. C’è un augurio che vuole fare ai ragazzi che a breve hanno la maturità? Mi verrebbe da dirvi: “È primavera, buttate i libri, andate a divertirvi!”. Ma lo studio è essenziale, anche se lo articolerei in un prato ove ogni materia sia un fiore da coltivare non da strappare. È un diritto e un dovere. Sì, avete anche il diritto al dovere! Io però vi proporrei prima l’efficacia dei diritti e solo dopo vi presenterei i doveri. Li accogliereste come parte di voi, già consapevoli che sono i doveri a preservare i diritti. Vi auguro di non diventare falsi per paura di essere veri! Altrimenti rischiate di essere quotidianamente infelici, insoddisfatti, privi di motivazioni, di gioia di vivere. Vi auguro di impegnarvi per migliorare la scuola, la società, la politica, l'economia, che ostacolano la vostra felicità, il vostro essere, le propensioni, le aspirazioni. Vi auguro di vivere “insieme”! Insieme si gioisce, si soffre, si decide, si realizza meglio. Si può essere felici solamente se si è noi. Se si resta io, è più facile essere infelici. Ecco perché vi supplico di rimanere autentici, di non cambiare per cambiare il mondo. Ce la farete, avrete la forza del “noi”, dell'onestà, della verità, dell’amore, dell’amicizia, che nessuna avversità potrà mai scalfire. Forse ho detto un sacco di cazzate! Scusate, ma ci credo.
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