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Notizie del 11/12/2014
Vangelo e costituzione posted: 11/12/2014 at 13:20:54
Un libro per tutti e per nessuno
di Felicio Izzo

Nella cosmogonia degli amerindi Hopi, una tribù al confine col Messico, dove non sono del tutto assenti le influenze delle tradizioni delle mesas, c’è una divinità dal nome impronunciabile, ma dalla significativa traduzione che non anticipo.
Un racconto tramandato oralmente in una lingua misteriosa dalla semantica tonale, solo in parte imparentata con l’uto-azteco, la descrive come un essere bizzarro. Suo non esclusivo ghiribizzo era quello di fare scherzi agli uomini, come per metterli alla prova – e fin qui, nihil novum… - e sorridere, anzi sghignazzare delle loro debolezze. Persino l’ “Elì, Elì…” (presente nel racconto per una contaminazione addebitabile alla sorprendente discreta conduzione delle cicatrici della terra, dalla Rift Valley alla faglia di S.Andrea) era stata un’occasione di ilarità. Un dio puro e capriccioso come un bambino. Un dio-bambino.
Ma quando gli apparivano uniti, gli esseri umani, nella concordia dei sentimenti, pronti ad operare insieme, la divinità, si trasformava nell’umore. Come quando tiravano su, con l’intesa di uno sguardo, una tenda, o imparavano, intemerati, a lanciarsi da un cavallo in corsa. Allora si rabbuiava; arrangolata la voce si incupiva: più che un lamento era un ringhio rabbioso quello che accompagnava ogni suo pensiero. Un desiderio di distruzione si impadroniva del dio che in particolare fremeva rancoroso nel vederli, periodicamente, nelle notti d’equinozio, coprirsi gli occhi con le mani ad aspettare, tutti, con paziente fiducia, la luce dal cielo, al termine dell’oscurità.
Si intristiva - ma il verbo è limitativo – a scoprirli sereni, uniti, contenti. Vizzo di dolore si immalinconiva quando, con naturalezza, si mostravano per quello che erano: uomini tra gli uomini, come la “Semplice Anima” – ma la traduzione è solo parziale - , ente superiore agli stessi dei, aveva desiderato fossero e restassero sin dal loro sorgere sulla terra.
Era allora che li vedeva sicuri, tranquilli, leggeri e, se non perfetti, di certo più perfetti di un dio. Perciò diventava scuro in volto, pensieroso. Temeva che ognuno di loro avrebbe potuto spodestarlo e farsi sovrano degli dei e degli uomini. Poi, quando il sangue montava e arrivava al punto di odiarli, alla volontà di cancellarli, alla soglia del proposito di farlo, seppure con una tristezza trattenuta anche nelle lacrime…improvvisamente, di colpo, come una folgore gli attraversasse la mente, realizzava, con sollievo, che, in fondo, erano sue creature e doveva esserne fiero ed orgoglioso. Come conviene ad ogni padre.
Allora, esattamente nel momento in cui lo sguardo lasciava finalmente il posto al calore che aspetta dietro gli occhi, cominciava a ridere. Dapprima un segno intorno alle labbra, poi un sussulto del petto, infine un fragore inarrestabile, fino alle lacrime, incapace a trattenerle, il dio, finalmente libero. Lacrime copiose, calde del calore che aspetta dietro gli occhi, ma non di scherno o divertimento, ma di gioia, d’amore, del sereno conforto dell’intensità delle emozioni.
Per questo – ora posso rivelarlo – il suo nome significa “colui che piange ridendo” o – le due versioni sono solo apparentemente contraddittorie – “colui che ride piangendo”.
Poi…poi…, a conferma che neanche gli dei sono perfetti e nessuno si sottrae alle leggi del tempo, tanto meno a quella dell’eterna ricorrenza, come le stagioni, continuano a replicarsi, così, nel racconto, il dio, riprende a fare scherzi, a sghignazzare, ad odiare ed infine a ridere. Con sollievo.

Penso che sabato 29 novembre al liceo De Chirico, in quella minuscola agorà dell’universo, con un omino coi colori della senilità e gli occhi da bambino, fra uomini con la testa della leggerezza del possibile e giovani mai così vicini ai loro pensieri, quel dio, dal nome impronunciabile, si sarà arrabbiato tantissimo e pianto, sino allo sfinimento. E, come mai prima, con tanta gioia.


Vangelo e costituzione posted: 11/12/2014 at 13:23:12
Un libro per tutti e per nessuno
di Felicio Izzo

L’ultima opera del “giudice che non giudica” richiama nell’impianto strutturale, i romanzi filosofici della seconda metà del ‘700. L’impressione si rafforza a lettura conclusa, che pure porta – ed è un paradosso - alla convinzione che, in fondo, a ben vedere, non si tratta di un romanzo e che di filosofia non ci sono tracce, se non quelle fisiologiche riscontrabili in ogni produzione umana.
Ma guarda che lenza, il nostro Michi, ho pensato, ritenendolo responsabile del ghiribizzo che m’era venuto, ma è evidente – mi sono detto - è la sua firma vivente, di antinomia interna irrisolvibile, di giudice che non coniuga nemmeno il verbo che dà origine al sostantivo, di credente scettico eppure fervente. La soluzione, la sintesi di due elementi del resto nemmeno contrapposti, Vangelo e Costituzione, appunto, le riserva alla sua opera, orientandole nel senso dell’Amore, questo sì declinato nelle varie accezioni, ma univocamente proclamato unica garanzia di Vita.
La verità è che il libro è del tutto singolare e, quel che più conta, l’originalità la trae dall’ovvietà, dalla naturalezza dell’operazione letteraria che compie: mettere a confronto due testi, apparentemente distanti, per individuarne il cospicuo “terzo incluso”, per citare Bobbio. Che poi le due opere costituiscano parte sostanziale dell’apparato formativo dell’autore è solo un dettaglio del tutto ininfluente. Il libro, come qualsiasi altro libro, una volta messo al mondo, ha una sua vita del tutto autonoma capace di regolare quella dell’autore, di orientarla con la forza della parola, l’unità di misura dell’esistenza stessa, di farsi profetico racconto di quanto ancora è nascosto nel tempo a venire. E questo in particolare, intriso come appare in ogni momento della narrazione di un onirico visionarismo chassidico. Un richiamo “facile” del resto, annunciato sin dalla copertina con l’opera di Chagall, l’ebreo di Vibetsk capace di universalizzare le storie di Baal Shem Tov, di tradurle in un comune immaginario pittorico, nostalgico e fantastico.
Ma se una coordinata formale la offre il chassidismo, l’altra, non c’è dubbio, va individuata nel diffuso lirismo. Ancora una scelta formale solo apparentemente incompatibile con la ricerca filosofica e che invece consente di azzardare un altro riferimento nel nicciano “Zarathustra”, non a caso il profeta che nasce ridendo.
Eppure un racconto, così inverosimile nel plot, nell’intrigo, quale “Vangelo e Costituzione”, utilizza un dispositivo diegetico che si manifesta con tale naturalezza di proposizione, da apparire, alla fine, di un realismo quasi cronachistico. Così registriamo un pastiche linguistico – fondamentalmente lirico - che alterna lampi di vernacolo con cadute nello scatologico ed incursioni nei clichè nominalistici da fiction (la compagna/moglie di Gesù Esposito diventa Maddy, con la y ; un po’ come la famosa Deborah con l’acca).
Ma si diceva della trama, esile eppure solidissima nella sua surreale coerenza, e tanto da potersi ridurre ad un titolo: “Il ritorno di Gesù”. O, più articolatamente, la riproposizione del suo insegnamento che l’autore immagina avvenga attraverso due libri, sorprendentemente prossimi. Il Vangelo – prioritariamente nella versione di Matteo, la stessa di Pasolini – e la nostra Costituzione, della quale Benigni ha detto che quando sarà messa in pratica diventeremo il popolo più felice della terra, risalendo – quando sarà – dal nostro 45° posto che attualmente occupiamo, in una classifica O.N.U.
Nel suo cammino tra Napoli e il mondo, passando da New York, Gesù, incontra una serie di moderni apostoli, personaggi storici, alcuni viventi, tutti identificabili. Michi ci regala il suggestivo gioco, che dovette interessare i lettori della Commedia coevi di Dante, del riconoscimento dei vari personaggi, offrendoci, la possibilità di una verifica della giustezza delle intuizioni, in una delle ultime pagine con l’estensione di un puntuale elenco.
Nella sua itinerante predicazione vengono affrontate diverse problematiche, così puntuali da scandire i capitoli, di coscienza o di carattere etico, ma prevalentemente sociali. E tutte affrontate in maniera concreta, diretta senza timori di proporre posizioni ed argomentazioni molto poco politically correct, attingendo motivazioni proprio da una lettura attenta, letterale del Vangelo. Un procedimento euristico che diremmo mutuato dall’Esortazione Apostolica “Evangelii gaudium” di papa Bergoglio, se non sapessimo – è lo stesso autore a rivelarlo - che il libro era concluso un paio di mesi prima dell’elezione del papa argentino. Eppure non ci sono dubbi che il vero, per quanto inconsapevole, ispiratore dell’opera è proprio Francesco al quale è diretta in apertura di volume, una intensa lettera, di quelle che ispirano le coscienze.
Ancora un’assoluta singolarità, un libro che profeticamente anticipa figure, strade, posizioni, analisi ed insegnamenti quali quelli presenti nella citata esortazione, autentico manuale per comprendere il Vangelo ed adeguarlo al mondo complicato di oggi. In questa concordanza trova una sua più vera densità il messaggio che dall’opera promana: la salvezza sta nel raggiungimento di un sereno equilibrio attraverso la condizione dell’amore attivo, stato che proprio nel Vangelo e nella Costituzione trova un solido fondamento per la sua dottrina e la prassi di non violenza attiva, di resistenza attiva contro il male. Quella condizione che Gandhi, uno dei più vitali apostoli moderni, con una parola definì Satyagraha, letteralmente “insistenza per la verità”, forza della verità, ad intendere la non violenza del forte, vale a dire di chi può usare la violenza, ma preferisce ricorrere alla forza dell’amore.



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