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Notizie del 2/2022
Pertini e la giustizia socialeposted: 24/2/2022 at 19:30:34
Il 24 febbraio 2022 è il 32° anniversario della morte di Sandro, avvenuta nel 1990.
Il 20 febbraio 2022 è la giornata mondiale della giustizia sociale. Ricorre ogni anno a seguito della dichiarazione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 26 novembre 2007. Questa volta in particolare punti nodali sono il divario digitale, che potrebbe nuocere al lavoro e ai diritti umani, lo sviluppo sostenibile, l’uguaglianza di genere e l’accesso al benessere sociale e alla giustizia per tutti.
Vangelo: secondo Matteo, 25:35-36: “… ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi…”. Gesù non si limita ad elencare delle pur lodevoli opere buone individuali, ma redige un articolato programma collettivo di cambiamento del mondo che lo conduca alla giustizia sociale, economica, politica… Prevede l’equa distribuzione delle risorse prodotte, a partire dal cibo, e delle risorse naturali, dall’acqua al petrolio; la negazione di qualunque forma di esclusione, in particolare dei diversi; la necessità di una vita dignitosa per tutte/i, di strutture sanitarie adeguate per tutte/i, di istituti di pena umani… Gesù pone al centro la persona sulla terra! Contrappone il mondo come è, pieno di ingiustizie, al regno dei cieli caratterizzato dalla giustizia. “Il mio regno non è di questo mondo” significa che il regno è diverso dal mondo così com’è. Ma questo mondo è comunque il luogo in cui costruire il regno attraverso l’amore attivo. Questo mondo si trasformerà in regno grazie all’impegno di tutti noi. Il regno dei cieli è il mondo trasformato!
Costituzione: articolo 3: “… È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Pertini: discorso alla Camera dei deputati del 23 aprile 1970 sul valore del 25 aprile: “… Siamo qui per porre in risalto come il popolo italiano sappia battersi quando è consapevole di battersi per una causa… giusta… Siamo qui per riaffermare la vitalità attuale e perenne degli ideali che animarono la nostra lotta. Questi ideali sono la libertà e la giustizia sociale, che – a mio avviso – costituirono un binomio inscindibile, l’un termine presuppone l’altro; non può esservi vera libertà senza giustizia sociale e non si avrà mai vera giustizia sociale senza libertà. E sta precisamente al Parlamento adoperarsi senza tregua perché soddisfatta sia la sete di giustizia sociale… La libertà solo così riposerà su una base solida, la sua base naturale, e diverrà una conquista duratura…”.
La vela capovolta solca la lava del vulcano spento e respira il rosso scurissimo della pietra e la trasparenza infuocata del liquido. L’ottavo giorno gli esseri umani creano l’ingiustizia sociale. Ma altri esseri umani raddrizzano la barca. C’è già vita da sempre. Non c’è il prima e il dopo. Cristo è già lì senza tempo. Pertini attende il tempo. La giustizia sociale è e sarà. Dipende da noi.
michi del gaudio


Mani Pulite posted: 17/2/2022 at 18:48:19
Il 17 febbraio 1992 viene arrestato Mario Chiesa, dirigente del partito socialista e presidente del Pio Albergo Trivulzio, benemerita casa di riposo per anziane ed anziani. Ma l’accusa è infamante: corruzione!
La Milano da bere è anche da mangiare?
Le indagini si allargano e si moltiplicano assumendo un titolo giornalistico non proprio lusinghiero, appunto Mani Pulite! Che si evolve in Tangentopoli quando l’emulazione sommerge l’intera Penisola, comprese le insule. Tangente è ormai il vocabolo cardine per scassinare la nazione, enti pubblici e privati, partiti, scambiando danaro o altra utilità con atti e comportamenti amministrativi da parte di individui o di tavolate di autorità, imprenditori, intermediari, correnti, sodalizi, logge, cupole, palazzi di giustizia, regge di ministri, vertici politicanti, su strade, viadotti, metropolitane, porti, aeroporti, scuole, ospedali, fino alla fornitura del salame peperino e del formaggio piccante nelle carceri. Inquisiti più di 5.000, 4 ex premier, 200 parlamentari (Ctr. https://www.treccani.it/enciclopedia/tangentopoli_Enciclopedia-Italiana/). Colpevoli 1.233; assolti 14,59 %, media nazionale; prescritti 23,08 %... (statistiche della procura di Milano fino al 2002 in https://www.gnewsonline.it/tangentopoli-le-tappe-piu-significative-dal-1992-al-2000/).
Nelle ultime settimane i mass media hanno ripercorso l’altalena di delitti e castighi con due concetti ricorrenti. Parecchi italiani hanno oscurato peccati e perversioni o comunque hanno voglia di oblio; anche le schiere di fan che hanno vissuto con entusiastica adesione la catarsi nei primi anni ’90, adesso, salvo eccezioni, sono tiepidi. Si dà per scontato che il malaffare goda di esuberante revisionismo, tanto da essere cresciuto, accettato, apprezzato. La tesi mi addolora ma non mi stupisce.
In realtà inizialmente la giurisdizione è identificata in un Robin Hood che toglie ai ricchi, i politici predoni, per dare ai poveri, onesti ed operosi. Il quadro cambia quando gli inquirenti, acquisendo sempre maggiore indipendenza, cominciano a stanare tutte le forme di illegalità non violenta che grandi fette della popolazione, comprese/i tante/i di noi, commettono.
È a questo punto che chi pretende la legalità dagli altri, ma non da sé, abiurare i giudici, divenuti parassiti, nemici della gente perbene che fatica, anche se con metodi ed obiettivi iniqui. E in labirintica giravolta di ruoli incorona gli investigatori come imputati e i corrotti come ignari passanti. Vernicia addirittura il vero, che sommessamente, col fiatone tachicardico, si incaponisce nel ritenere gli elementi numerici oggettivi di Mani Pulite un enorme sforzo con ottimi risultati, ovviamente con errori ed orrori comunque fisiologici.
Perdura invece la figura determinante del procuratore della Repubblica dell’epoca, Saverio Borrelli, che si assume la responsabilità giuridica e morale dell’inchiesta. Quando ci sono delle grane, è lui il garante. Non espone i suoi collaboratori. Con serenità e lealtà. È integerrimo! Avrebbe potuto insabbiare subito il processo e invece ad Antonio Di Pietro affianca un collega del calibro di Gherardo Colombo, e poi Piercamillo Davigo, e ancora Gerardo D'Ambrosio.
Di Pietro però il 6 dicembre del 1994 si dimette dall’ordine giudiziario, per tutelare il pool dalla campagna di delegittimazione scatenata esclusivamente contro di lui.
La Voce di Montanelli, 7/12/94:
… -Michele Del Gaudio fu tra i primi nell'83 a sollevare il coperchio di Tangentopoli, con il caso Teardo,
a Savona.
(da Albisola a Savona tutte le mattine fino alla Torretta. Alle spalle Corsica Viva, con storie vissute su ponti, cabine e motori. Porta in Corsica. A divertirsi, fuggire di casa, cercarla dall’altra parte del mare. Non salirò, Corsica Viva. Resta anche tu, le vele abbassate, appoggiata alla Torretta)
"Ci misero i bastoni tra le ruote in tutti i modi. Riuscimmo a far condannare Teardo, sì, ma, quando si trattò di passare al livello superiore del PSI… (a) De Michelis e Manca, ci trovammo davanti un muro…"
-Lei ha scelto la politica, crede che Di Pietro farà anche lui politica?
"lo spero ancora che si creino le condizioni per convincere Di Pietro a ripensarci. Non è il momento di lasciare il suo posto, adesso. Ma se scegliesse la politica, ritengo opportuno che lasci passare… tempo. lo ho aspettato dieci anni. Ho rifiutato le candidature che mi vennero offerte… e ho accettato solo dopo che la Cassazione aveva chiuso il processo Teardo".
-Perché le dimissioni dalla magistratura e non solo dal pool?
"Di Pietro non è un uomo di mezze misure. Ma… spera che nel frattempo succeda qualcosa per farlo tornare indietro…".
-Senza Di Pietro Mani Pulite finirà?
"lo stesso, un anno fa, avevo sostenuto… di far ruotare i (membri) del pool, lasciando fermo soltanto Borrelli, per evitare il rischio di personalizzazioni. Non… finirà".
La separazione dei poteri
Camera dei Deputati. Aula. Seduta del 6 dicembre 1994. Del Gaudio: “Volevo richiamare l'attenzione sullo scontro fra... Noi progressisti abbiamo presentato un'interrogazione al riguardo... Governo e un ufficio giudiziario determinato: la Procura della Repubblica di Milano… È necessario secondo noi un intervento… immediato… del Ministro della Giustizia…”.
Seduta del 7 dicembre 1994. Del Gaudio: “Signor Presidente… a nome del gruppo progressisti-federativo… ci permettiamo di insistere pressantemente perché… il ministro… oggi stesso venga in quest'Aula…”.
In quei giorni vado a Milano da Saverio Borrelli.
Il cielo pacifico osserva incuriosito, l’aereo fiducioso viaggia sopra un aquilone bambino, il mare da lontano incoraggia, la metropoli pulita e stirata è sveglia.
È un vero galantuomo! È mortificato per la vicenda dell’avviso di garanzia a Berlusconi durante la manifestazione internazionale. Ho l’impressione che ce l’abbia con Di Pietro. È integro! Irreprensibile! Schietto! Preparato! Equilibrato! Giusto! Tonino invece, detto “Il Taurino” per il suo camminare a sfondamento, è simpatico, ma umorale. Siamo in ottimi rapporti, ma la scena della toga gettata in udienza è un colpo di teatro che mi indigna. Preferisco non incontrarlo. Preferisco Saverio: incarna la verità!
Nella Milano delle autostrade cittadine il popolo di veicoli incerti sfreccia come una raffica di missili fra rotaie di tram, scie di moto, oasi di verde demoralizzate, alveari infelici di benessere.
San Pietro mi riabbraccia piovigginando le voci appena accennate e appena rauche che hanno voglia di essere protagoniste di un palcoscenico che al momento le confina dietro ad un sipario incerto ed impalpabile. La notte è lunga, troppo lunga. Naufrago fra i monolitici canoni e la voglia di capire, mi aggrappo agli scogli mentre le onde li inabissano di interrogativi, trovo responsi subito annegati dalla schiuma delle perplessità, lotto fra la certezza e il dubbio, fra la fede e la ragione, fra l’itinerario sicuro e l’avventura della fantasia.
Seduta del 16 dicembre 1994: Del Gaudio: “Desidero ringraziare il ministro Biondi per le parole di stima che ha avuto nei miei confronti. Egli ha ricordato la mia vicenda… nella quale sono stato solo… per essere un giudice onesto e indipendente; essa mi ha creato un grosso trauma, perché mi sono visto contro proprio le istituzioni che mi dovevano difendere. È per me importante, allora, che un ministro della Repubblica riconosca il mio lavoro, il che mi stimola a continuare sempre meglio. Devo dire che mi trovo in una certa difficoltà, dato il rapporto di stima che vi è con il ministro Biondi, nel dichiararmi non soddisfatto della sua risposta… La nostra democrazia si basa su tre poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario… In questo momento vi è un problema di invasione nei confronti del legislativo e del giudiziario da parte dell’esecutivo. Uno degli strumenti utilizzati, nuovo e pericoloso, è quello dell'ispezione… può creare problemi per l'indipendenza della magistratura, nonché di interferenza nell’attività giudiziaria... ho comunque apprezzato molto le dichiarazioni del ministro Biondi che vanno in una direzione di pacatezza, di discussione e di dialogo... potrebbe essere (proficua) la revoca delle ispezioni...”.
Ma appena il 22 dicembre la caduta del governo Berlusconi, e quindi di Biondi, sopisce l’ispezione, che termina formalmente nel marzo 1995 con una relazione di piena innocenza della procura milanese.
L’accordo di un violino sfuocato mi mette voglia di cantare fra singhiozzi di vino, ma opto per un sorso d’acqua e cornetti e bomboloni appena sfornati nei vicoli di Montecitorio.
michi del gaudio

Don Giuseppe Dossettiposted: 13/2/2022 at 14:44:55
oggi 13 febbraio 2022 compirebbe 109 anni
Credo profondamente in Gesù e cerco di praticare i suoi insegnamenti, ma non riesco ad ammettere che sia Dio.
Don Giuseppe mi accolse come un credente.
Se lo facessero santo, non per i miracoli, ma per quello che ha detto, scritto, fatto, potrei anche convincermi che il mio amico Gesù sia Dio.

Elisa Springer sopravvissuta ad Auschwitzposted: 12/2/2022 at 17:02:44
Il 12 febbraio 2022 compirebbe 104 anni.
La conosco il 20 settembre 2003, quando entrambi riceviamo il Premio Nazionale “Città di Matera” per l’Impegno Civile e Sociale, assieme al giornalista Giovanni Anversa e al presidente della Comunità Sant’Egidio. È una aristocratica signora di 85 anni, taciturna, timida, riservata, amore martoriato ma ancora errante. La prossima fermata di un sentimento tanto potente, da essere ucciso e poi rinascere, è in un’aula ampia come i capannoni dello sterminio, prima silenziosa come i metalli spinati senza fuga, quindi gioiosamente urlante e danzante sulle punte di studentesse e studenti di una scuola basilisca. In un istante Elisa è una di loro. Agita le braccia nella ola. È raggiante nel dolore, nella speranza, nei progetti bambini di una bambina clandestina e segregata che sogna ancora di volare. Ha ancora un anno per la meta e non vuole sprecarlo.
La nobiltà viennese d’inizio mattinata è evaporata, le parole si rincorrono, la disinvoltura sgorga, la trasparenza abbonda… in una eleganza pudica e frugale.
Il dialogo è storico, sociale, culturale, confidenziale, le emozioni prorompono essenziali ognuna nella sua fase, gli ideali fluiscono a costruire presente e futuro.
In questa atmosfera duttile, multi…, poli…, flessibile ma unitaria, armonica, simmetrica, Giovanni… - l’autore e conduttore televisivo che inonda la Rai di vicende semplici e straordinarie, di persone normalmente diverse, di anziani ragazzi d’energia, di ragazze anziane d’angoscia - Giovanni… chiede ad Elisa: “È vero che hai conosciuto Anna Frank?”.
“L’ho incontrata nel ’45 a Bergen-Belsen. Era una fanciullina di 16 anni. Io a 27 le avrei potuto fare da mamma… e forse l’avrei voluto. Non era facile, ma ci incrociavamo. Adolescenza irriconoscibile in una traccia ossea spolpata. Bellezza senz’ali. Sogni soffocati. Emozioni interrotte in germanico, narcotizzate per svegliarsi in tutte le altre lingue”.
“Avete scambiato idee su stile, forma, contenuto?” si inserisce “Sant’Egidio”, simpatico solidale con il bene nelle mani.
“Anna annotava, componeva già da un po’. Io non l’avrei mai fatto. Sono stata scarcerata il 5 maggio del ’45, ma sono rimasta sepolta lì per cinquant’anni. Il mio primo libro è del 1997. Anche se il mio vissuto è intenso, il matrimonio con Guglielmo, mio figlio Silvio, Manduria, la mia città d’adozione”.
“Perché, Elisa?”.
“Chiamami Lizzi! L’orrore di Auschwitz non può essere narrato a creature umane: è inspiegabile, inconcepibile. Avevo paura di non essere compresa o peggio di non essere creduta. Solo scrivendo, vocabolo dopo vocabolo, azione dopo azione, realtà dopo realtà, tormento dopo tormento, ho percepito, in una liberazione progressiva, che anche un peso incontenibile, travolgente, intrasportabile, irremovibile si sgretola, fino a ridursi a cosciente testimonianza di resurrezione dalla prigionia del passato”.
“Auschwitz è torbido abisso, sterminio di un popolo dove neanche i resti possono essere sepolti a terra, solo fumo attraverso i camini… fino a oscurare il cielo”. È Anna! Allora? Oppure ora!
“È vero, Anna, il mio corpo è sottoposto a ogni genere di stenti e di umiliazioni, ore e ore sotto la pioggia nuda al freddo, o sotto il sole cocente, senza aver mangiato o bevuto, sottoposta allo stress della selezione per le camere a gas… E la cruenta pugnalata della sera, all’arrivo dei nuovi convogli: “Quanti pezzi sono arrivati oggi? Eravamo pezzi, per essere sfruttati fino alla morte ed essere gettati alla fine nelle camere a gas. Questo dicevano i tedeschi quando arrivavano i treni, parlando tra loro”.
“E ora cambiamo discorso. Sai che il mio maggior desiderio è quello di diventare giornalista e poi scrittrice… i soggetti non mi mancano”.
“Hai già dei titoli?”.
“Il Diario di Anna FranK! In realtà è quasi completo”.
“Lo hai con te?”.
“No, Lizzi, lo custodisce mio padre! E tu hai immaginato un titolo?”.
“Ma no, Anna, non c’è neanche una riga!”.
“Dài, Lizzi! Per favore!”.
“Se proprio insisti, riflettendo: Il silenzio dei vivi!”.
“Sei grande, Lizzi…”
“E offrirò alle stampe anche un secondo libro, L'eco del silenzio. La Shoah raccontata ai giovani! Sì, un testo specifico per le ragazze e i ragazzi. Perché sappiano, per sperare che quell'indicibile mostruosità non si ripeta. E allora, se il mio impulso nel cuore di chi intende la pietà fa crescere l’amore, anch'io potrò ammettere che, nella vita, tutto ciò che è stato assurdo e tremendo, potrà essere riscatto per il sacrificio di tanti innocenti, consolazione verso chi è solo, per realizzare un mondo senza odio. L’odio è come un grande fiume che quando straripa trascina con sé tutto quello che fende.
“La nonna morì nel gennaio 1942: nessuno sa quanto io pensi a lei e quanto ancora le voglia bene. Questa sera, guardando le candele accese, mi sento di nuovo tranquilla e felice. Nella candela io vedo la nonna. Ed è la nonna che mi difende e mi protegge e mi fa ritornare contenta.
“Anche io mi rintano nella nonna”.
“Papà, mamma e Margot non riuscivano ad abituarsi alla campana di Westertor, che rintoccava ogni quarto d'ora. lo invece la trovavo molto gradevole, e soprattutto di notte quel suono era per me un amico fedele.
Ho ideali, idee e piani miei propri, ma non so ancora esprimerli”.
“L’avessimo qui la tua campana!”.
“Spero sempre di scoprire che anche lui vive aspettando me e vado in estasi quando scorgo i suoi piccoli e timidi approcci”.
“Talvolta sono sopraffatta da una tristezza mortale. Vorrei andare in bicicletta, ballare, fischiettare.
C'è un bel sole, il cielo è sereno, spira un vento delizioso, e io ho desiderio... di tutto. Desiderio di chiacchiere, di libertà, di amici, di esser sola. Desiderio... di piangere!”.
michi del gaudio

Rosy Bindi Vittorio Bacheletposted: 12/2/2022 at 11:55:21
Il 12 febbraio 2022 Rosy compie 71 anni di vita; Vittorio 22 anni di morte.
Vittorio viene ucciso dalle Brigate Rosse lo stesso giorno in cui Rosy accoglie il 29° compleanno.
La luce comincia a filtrare in una Roma in cui ombre avanzano senza domani. Il sole sempre più ritto spacca le strade senza orizzonte. Neanche i palazzoni, trafitti a perpendicolo nel cranio, tracciano le loro sagome. Vittorio insegna diritto pubblico dell'economia all'università "La Sapienza". Passo dopo passo, scalino dopo scalino, avanza lento nello squallore e ode una musica che non arriva.
Ha appena terminato una lezione, dialoga con Rosy, la sua assistente precaria, seguito da un gruppo di studentesse e studenti. È quasi mezzogiorno quando arriva al mezzanino, in quell'angolo, accanto alla grande porta vetrata. Nolente incarna sette proiettili calibro 32 Winchester. L’ultimo è alla nuca, per finire l’infinito.
Il remoto fabbricato è pseudopitturato con tanta vernice violenta e qualche sprazzo d’amore, in un quartiere affamato di valori maturandi, di sentimenti pionieri in un abisso azzurro inquinato dalle persone più che dallo smog, in un cielo abbagliante ma disinteressato.
“Penso sia una studentessa…” dice Rosy.
“No, è la boia!” sentenzia Vittorio col volto terrorizzato.
“Sono sconvolta, annichilita…”.
E intanto Vittorio barcolla, sbatte la testa contro la parete, cade in un urlo belluino di umanità fanciulla, di fratellanza e carità…
Il puzzo di spari su quel corpo innocente profuma di gelsomini smaglianti.
“Per primo arriva Pertini e passa impietrito al centro di quella marea di giovani che, ad un tratto, lo applaudono con furia, commossi, quasi disperati…” scrive Giampaolo Pansa su Repubblica del 13 febbraio 1980.
A 40 anni dal martirio, Rosy abbozza un ricordo: “Forse non corrisponde pienamente alla verità… Il dolore, la paura, la rabbia vissuti in quel momento possono aver condizionato e in parte alterato la mia percezione della realtà… Ho il dovere di trasmettere alle giovani generazioni la consapevolezza che quegli anni vanno conosciuti e studiati, vanno compresi nel loro significato storico e nella loro portata anche politica. Sono un capitolo cruciale per capire quanto sia fragile e preziosa la nostra democrazia, quali pericoli ha attraversato, quali ferite ha subito e rischia ancora di subire e per coltivare la riconoscenza verso coloro che hanno dato la vita per la libertà, la giustizia… le Brigate Rosse sono state anche o soprattutto lo strumento, consapevole o inconsapevole, di un disegno politico, non meno pericoloso delle loro farneticanti teorie sovversive, che puntava a ostacolare il pieno compimento del progetto di democrazia delineato nella nostra Costituzione”.
Le parole chiave di Vittorio sono Concilio e Costituzione, che aprono “una fase nuova”, servizio come gioia, ideali che non tramontano mai, speranza da testimoniare sempre.
Ai funerali il venticinquenne figlio Giovanni prega di pregare, di perdonare chiedendo perdono, di neutralizzare la vendetta, di vivere senza mai invocare la morte.
Mattarella è il 13° presidente… Non ce l’hai fatta, Rosy… Ora puoi lasciarti andare… Come quel giorno di piombo… con Vittorio coperto da un velo bianco… in cui ti raggomitolasti e inondasti d’asciutto le scale con il fiume oculare che attendeva di sfociare per salvarti.
Ciao, presidente Rosy! Non rinunciare! Tienimi per mano!
Nell’albore arancio dei lumi appena accesi, nella rugiada che conduce la vegetazione all’abitato,
il treno della notte è la pace che corre. È raccoglimento e preghiera, riflessione e progetto, velocità che si ferma, fantasia che sistema il disordine, ripara e risolve, conclude e riparte. Il dardo nel buio è prigione da evadere, ansia e relax, voglia di frenare, di respirare. I binari proteggono, ma non ammettono deviazioni. All’alba, mentre ci si stira le ossa, rotte dal metallo ghiacciato, si è più confusi di prima. Ma la notte è passata!
michi del gaudio

Vincenzo Setaro: Eutanasia?posted: 7/2/2022 at 16:34:19
Il 7 febbraio 1990 ho perso un carissimo amico. Vincenzo avrebbe compiuto settant'anni dopo pochi giorni, l’11. Nonostante la differenza d'età fra noi era nata una solida amicizia. Era amico di mio padre. Me lo presentò che non avevo vent'anni. Capitava qualche sera che lo incontravo per il Corso e ce lo facevamo in lungo e in largo fino a mezzanotte. Parlavamo di tutto e mi arricchivo a livello umano e di cultura. Abbiamo anche parlato dell'immortalità dell'anima, di donne e di politica. Già affiorava nelle sue parole un amore lontano e mai dimenticato. Quando divenni magistrato pretese di darmi del lei, ma il sentimento amicale divenne ancora più stretto. Quando mi trasferii a Savona, talvolta alzavo il telefono e sentivo la sua voce: «Signor giudice, avevo nostalgia di sentirla, mi perdoni se l'ho chiamata». Una fredda sera natalizia, lo andai a trovare. Ormai non usciva quasi più. Il male avanzava e lui non lo sapeva. Con poche pennellate mi dipinse la sua vita, legata ancora agli anni universitari, a Siena, e alla ragazza di cui era innamorato, Luciana. Ancora le telefonava, ma non aveva avuto il coraggio di sposarla. Lei a Grosseto. Lui a Torre Annunziata. Ogni tanto si incontravano. Poi seppe. Fece testamento. La signora Luciana venne a Torre per assisterlo. In una delle mie frequenti visite gli donai questo pensiero, trovato affisso alla porta secondaria di una chiesa di Gubbio, e subito fotografato. «Una notte ho sognato che camminavo sulla spiaggia con il Signore. Scene della mia vita balenavano attraverso il cielo. In ognuna notavo impronte di piedi, a volte di quattro, a volte di due soli. Vedevo che nei periodi bui della mia vita le impronte erano soltanto due, perciò ho detto: "Signore, avevi promesso che avresti sempre camminato al mio fianco: Perché, quando più avevo bisogno di te, non mi eri accanto?". "Quando hai visto solo due impronte" - mi ha risposto - "ti portavo sulle braccia"». Glielo diedi come segno del mio affetto e del mio incoraggiamento. Lo lesse, mi prese la mano e piangendo mi disse: «Ti voglio bene». Poi si riprese e aggiunse: «Signor giudice sto morendo da "signore" grazie alla mia Luciana».
Sull'eutanasia ho riflettuto tante volte ed anch'io ci ho pensato nel vedere le sofferenze dell'amico che ha seguito con lucidità impressionante il suo cammino verso la morte. Quando si parla di eutanasia, vengono subito alla mente le complesse implicazioni che involge: dall'aspetto umano, con i familiari e gli amici più cari, combattuti, nel loro sentimento di affetto verso la persona malata, fra il desiderio di vederla ristabilita e la pietà per le sue sofferenze; a quello morale, con la perenne lotta fra la vita e la morte proiettata nella valutazione etica della accettazione o della condanna della buona morte; a quello medico, con i problemi di coscienza deI professionista che per lavoro tutela la salute e la vita dei pazienti, eppure si rende conto della inutilità di certe sofferenze; infine all'aspetto giuridico, con i suoi rigidi schemi applicativi ed interpretativi che lasciano poco spazio agli operatori del diritto. È in quest'ultima ottica che mi torna più facile parlare di eutanasia anche se è bene chiarire che per il diritto siamo di fronte ad uno pseudoproblema, quanto meno per la legislazione oggi in vigore, che punisce con pene severe il responsabile dell'eutanasia, sia come autore di un omicidio volontario, che di un omicidio del consenziente, nell'ipotesi in cui sussista il consenso della vittima. Aumenta costantemente il movimento di opinione a favore dell'eutanasia, però la gran parte degli Stati del mondo la puniscono come reato. Le stesse religioni, da quella protestante a quella ebraica, islamica, buddista, sono contrarie all'eutanasia, con qualche apertura nei confronti di quella passiva, come accade per i cattolici, che ammettono la possibilità di sospendere terapie straordinarie nel malato morente. La sempre più profonda sensibilizzazione sul problema è testimoniata dalle numerose proposte di legge, approvate in poche, presentate dall'inizio del secolo ai nostri giorni in vari Stati. A me interessa in particolare un aspetto: accanto al diritto di vivere esiste anche un diritto di morire? È fuori discussione che il diritto italiano tuteli la vita umana non solo nell'interesse dell'individuo ma anche nell'interesse della collettività. Esiste un diritto di vivere, che diventa anche dovere verso se stessi, la famiglia, verso gli altri, ma non può parlarsi di diritto di morire, tanto è vero che è vietato il suicidio ed è punito chi aiuta o istiga altri al suicidio; anche se va evidenziato che il suicidio, il suo tentativo, le lesioni su se stessi, non trovano alcuna sanzione nell'ordinamento giuridico, ben diversamente da tempi in cui il suicida veniva punito se sopravviveva ed in caso di morte venivano colpiti il suo cadavere e i suoi beni. In altri termini, non si può decidere di morire, ma, se lo si fa e si attua il proposito, non si è puniti. Davvero non si può parlare di diritto di morire; siamo solo in presenza di un divieto senza sanzione. Certo coloro che si accontentano più facilmente potranno dire che dei passi avanti sono stati fatti rispetto a tempi in cui si praticava e si sosteneva l'eutanasia eugenica o quella economica; con la prima si eliminavano i deformi e gli handicappati per migliorare la razza; con la seconda ci si liberava di vecchi e malati, che costituivano solo un peso per la collettività e non davano nulla in cambio. Ma non si può ritenere appagante l'attuale situazione normativa. lo considero valida la differenziazione fra eutanasia attiva e passiva; quella attiva si ha nel caso di somministrazione al paziente di farmaci o veleni per provocarne la morte al limite anche con il ricorso ad un'azione cruenta; quella passiva si verifica quando viene sospesa la terapia straordinaria al malato, che è tenuto in vita quasi artificialmente. Per me nulla ha a che vedere con l'eutanasia la somministrazione di farmaci diretti a lenire il dolore e le sofferenze, anche se questi possano comportare come effetto collaterale quello di affrettare la morte del malato, a prescindere dal fatto che oggi la scienza medica non sembra in grado di individuare con certezza tali effetti. In tali casi il fine è quello di limitare le sofferenze, non di provocare la morte. Voglio comunque sottolineare un dato fondamentale: l'oggetto principale dell'attenzione dei propugnatori della eutanasia non è tanto la morte quanto la sofferenza. Il fine della decriminalizzazione del fenomeno non è quello di provocare la morte del malato, ma quello di evitargli sofferenze terribili e senza prospettive di guarigione. A questo punto ritorna la domanda iniziale: esiste il diritto di morire? Dicevamo che non si può disporre della propria vita e del proprio corpo, che il suicidio è vietato ma non punito; ma è anche vero che «nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (articolo 32 della Costituzione). Quindi il malato può rifiutare la distanasia, l'ostinazione terapeutica, può scegliere di morire per non soffrire più, piuttosto che affrontare atroci sofferenze per strappare alla vita ancora un'ora, un giorno, un mese. Forse possiamo concludere che il diritto di morire c'è, nel senso che non si può negare all'infermo di decidere di troncare una vita che non è vita, perché è solo inutile sofferenza. Nelle nostre coscienze abbiamo compreso questa terribile verità. Rimane solo da attendere che la realtà giuridica si adegui alla realtà sociale.
michi del gaudio



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